L’introduzione di una norma argina determinati comportamenti, ma per debellare il fenomeno del Revenge Porn è assolutamente necessaria una crescita culturale.

Ad oltre un anno dall’introduzione del codice rosso tiriamo le somme di uno dei reati incluso nella riforma normativa, quello del Revenge Porn.

L’articolo 612 ter del codice penale da agosto 2019 punisce la “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”. Nello specifico viene punito chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, rischiando da uno a sei anni di carcere, senza considerare casi con ulteriori aggravanti.

La prima impietosa considerazione è che il Revenge Porn è presente da quasi un decennio nella maggior parte delle legislazioni europee occidentali e l’Italia si è mossa con un ingiustificabile ritardo sul punto.

Di fatti dal 2011 in poi l’utilizzo delle piattaforme di Instant message, prima fra tutti What’s App e poi Telegram, ha visto l’aumentare in maniera vertiginosa e spasmodica l’aumento di formazioni di gruppi di ogni genere (lavoro, sport, svago) e con esso la becera pratica della spasmodica condivisione di video ed immagini raccapriccianti avente oggetto le donne coinvolte in qualsiasi tipo di attività sessuale.

Il tutto ovviamente avviene senza neanche richiedere il consenso o meno degli altri presenti, magari con 70, 80 persone, molte volte è vista come una prassi goliardica, un normale passatempo….come un normalissimo meme.

L’introduzione di una nuova norma però non genera in automatico la risoluzione del Revenge Porn, al contrario molto spesso segnala l’incapacità dei consociati a mantenere una condotta decorosa in quel determinato aspetto; dunque ciò che è necessario per contrastare tale fenomeno è un cambio di mentalità, un educazione e sensibilizzazione al problema.

Purtroppo in Italia siamo ancora al palo con il Revenge Porn, ci ritroviamo a cercare di spiegare sui social che la persona protagonista del video del momento non è l’autrice del reato ma la vittima, che gli usi domestici e la ritorsione di un soggetto non può compromettere per sempre la vita sociale (o proprio la vita) di una persona.

Ci ritroviamo a vedere una vittima di Revenge Porn messa alla gogna, derisa, fatta a pezzi ed infine anche licenziata dal proprio lavoro, umiliata in ogni aspetto e privata della dignità umana di cui l’occidente si professa portabandiera.

Se la pratica venisse stigmatizzata e pensata come sbagliata, specie per le ripercussioni che tale attività può creare, se ci si fermasse a pensare un attimo alla provenienza e l’uso del video in questione  e su chi effettivamente sia la vittima e chi il carnefice, avremmo già compiuto il primo grande passo.

Il reato punisce non solo chi avvia questa orribile catena, ma in teoria ogni membro del gruppo che riceve tale video e preme distrattamente invia ad altri 18 gruppi per strappare una risata o approvazione è passibile di persecuzione giudiziaria; oltre a ciò può concorrere nella distruzione di una o più vite, e questo non viene mai in mente prima di premere “inoltra”.

La morte di Tiziana Cantone fù nel 2016, 4 anni fa…purtroppo sembra ieri.

Dott. Andrea Di Pasquale

AntiHater.it