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Revenge Porn su Facebook e Instagram: Come proteggersi?

Revenge Porn su Facebook e Instagram: Come proteggersi?

Arrivano nuovi strumenti per proteggersi dal Revenge Porn su Facebook e Instagram, Questi sono stati sviluppati da Facebook, in collaborazione con il Garante della Privacy.

Noi di Antihater siamo da sempre al fianco delle vittime di Revenge Porn e forniamo il nostro supporto affinché ci possa essere maggiore giustizia sul web. Abbiamo parlato spesso di questo fenomeno dell’uso scorretto di immagini intime in rete e sui social e quasi sempre le vittime sono donne. Bene, da Facebook è finalmente arrivata una nuova iniziativa, insieme al Garante della Privacy per evitare che i propri scatti possano essere diffusi su Facebook e Instagram.

Ma come funzionano e come si possono utilizzare per stroncare sul nascere un attacco di Revenge Porn?

Un’enorme quantità di immagini intime rubate sul web

Purtroppo la quantità di immagini intime non autorizzate e rimosse dalla rete è in notevole aumento. Solo nell’ultimo quadrimestre del 2020, infatti, ammontavano a 28 milioni. Nella maggior parte dei casi per fortuna gli amministratori o le autorità sono intervenuti prima ancora che i diretti interessati, se ne potessero accorgere. Sono numeri spaventosi che danno l’idea di un fenomeno riguardante più di 2,60 miliardi di utenti nel mondo.

Come proteggersi?

Per iniziare a combattere seriamente questo fenomeno, Facebook nel 2019 aveva lanciato un pilot project (progetto pilota) per mettere un freno alla pornografia non consensuale, chiamato Non senza il mio consenso, in collaborazione con l’associazione no-profit “PermessoNegato”: un programma online su Facebook che fornisce supporto alle vittime di Revenge Porn attraverso strumenti ad hoc per chiedere la rimozione del contenuto da Facebook e impedire che venga visualizzato e condiviso da altre persone. Il Programma è stato creato insieme alla collaborazione di esperti del settore, all’interno del Centro per la sicurezza.

Segnalare non è mai stato così facile

Quindi oggi chi teme che siano state condivise delle proprie immagini intime o video intimi, oppure è stato vittima di Revenge Porn. Potrà utilizzare tale strumento e ed essere così aiutato a sottoporre in modo sicuro quelle foto o video a Facebook. Quest’ultimo creerà una firma digitale unica (composta da valori numerici che codificano l’immagine in modo che non sia riconoscibile a occhio nudo) del contenuto prima di distruggerlo e bloccherà possibili tentativi di pubblicazione sulle proprie piattaforme.

Qualora, invece, le foto o video siano già in rete senza l’autorizzazione del proprietario o del soggetto in questione, è sempre possibile segnalare l’accaduto a Facebook o su Instagram. Anche in questo caso le piattaforme faranno ricorso alla stessa tecnologia digitale per impedire la duplicazione e condivisione. Infatti l’intelligenza artificiale, tramite un algoritmo potrà anche “capire” quali immagini e video di nudo sono condivisi senza permesso su Facebook e Instagram e rimuoverli subito.

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Maestra licenziata per revenge porn, tre condanne al termine di due processi

Maestra licenziata per revenge porn: tre condanne al termine di due processi

Terminati i due processi per il caso della maestra d’asilo licenziata in seguito a revenge porn. Sono state condannate la direttrice dell’asilo dove lavorava e la mamma che ha diffuso le sue foto intime. Colpevole anche una collega della vittima.

Il fatto

Il fatto accadde tre anni fà, nel 2018 nell’area metropolitana di Torino. La maestra d’asilo inoltrò delle immagini intime al fidanzato. L’uomo ormai ex decise di condividere quasi tutto sulla chat della sua squadra per vantarsi della sua conquista.

Il tutto degenerò quando la moglie di uno degli uomini della chat intercettò il telefono del marito riconoscendo la donna, maestra nell’asilo di suo figlio. A questo punto minacciò la maestra di rivelare tutto alla dirigente se avesse fatto denuncia.

Alla fine la maestra decise di raccontare quanto accaduto alla dirigente, che a sua volta la invitò subito a licenziarsi poiché “incompatibile con il lavoro di educatrice”. Da quel momento iniziò una vera e propria guerra contro la giovane maestra, che portò la ragazza a rivolgersi alla procura di Torino, sporgendo querela contro tutti coloro che l’avevano ingiustamente colpevolizzata.

La direttrice dell’asilo

“Non darà le dimissioni, cercate di indurla a fare qualcosa di sbagliato così lo prendo come pretesto per mandarla via. Fatemi ‘sta cortesia, io non so più cosa fare. Ce l’ho a morte con lei e non voglio nemmeno vederla”. Sono queste le parole della direttrice, pronunciate in un file audio del gruppo Whats App dell’istituto, ascoltato in tribunale durante il processo.

Dai messaggi sembrerebbe quindi evidente che la direttrice chiedesse aiuto alle altre insegnanti per raggiungere il suo scopo: ovvero cacciare via la maestra per tutelare il buon nome dell’asilo e quindi metterla nelle condizioni di commettere errori.

Due processi e tre condanne

Dopo oltre due anni di processo, il Tribunale di Torino si è finalmente pronunciato, emettendo due sentenze e tre condanne. Una, la più pesante alla direttrice dell’asilo alla quale è stato inflitto un anno e un mese di reclusione con la condizionale, mentre per la mamma che aveva minacciato l’insegnante la pena sarà 12 mesi. In parallelo si è concluso anche il secondo processo, nel quale una collega della vittima è stata condannata a 8 mesi.

L’ex fidanzato che invece per primo diffuse nella chat degli amici del calcetto le immagini hard dell’ex fidanzata, innescando per primo il fenomeno del Revenge porn si dichiarò fin da subito pentito del grave gesto commesso, risarcendo i danni subiti dalla ragazza. Ora dovrà svolgere servizi socialmente utili per un anno.

Il danno non si cancella ma giustizia è stata fatta

“Quel che è fatto è fatto e il danno non si cancella. Ma almeno con questa sentenza è emersa la verità”. Il commento della giovane maestra dopo la pronuncia delle condanne del Tribunale di Torino. “Sono sollevata, so che andranno avanti facendo ricorso ma almeno abbiamo messo un punto fermo. Nessuno mi ha mai chiesto scusa e ancora adesso per colpa di questa vicenda non ho più trovato lavoro. Ma io voglio solo tornare a fare la maestra d’asilo”.

Sono parole forti (anche un po’ amare) ma allo stesso tempo incoraggianti perché rievocano quel senso di giustizia per tutte le vittime che hanno subito diffamazioni o violenze a causa di un attacco subdolo e scorretto come può essere quello del revenge porn.

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Revenge Porn: Un anno dall’introduzione della legge, ora serve l’educazione

L’introduzione di una norma argina determinati comportamenti, ma per debellare il fenomeno del Revenge Porn è assolutamente necessaria una crescita culturale.

Ad oltre un anno dall’introduzione del codice rosso tiriamo le somme di uno dei reati incluso nella riforma normativa, quello del Revenge Porn.

L’articolo 612 ter del codice penale da agosto 2019 punisce la “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”. Nello specifico viene punito chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, rischiando da uno a sei anni di carcere, senza considerare casi con ulteriori aggravanti.

La prima impietosa considerazione è che il Revenge Porn è presente da quasi un decennio nella maggior parte delle legislazioni europee occidentali e l’Italia si è mossa con un ingiustificabile ritardo sul punto.

Di fatti dal 2011 in poi l’utilizzo delle piattaforme di Instant message, prima fra tutti What’s App e poi Telegram, ha visto l’aumentare in maniera vertiginosa e spasmodica l’aumento di formazioni di gruppi di ogni genere (lavoro, sport, svago) e con esso la becera pratica della spasmodica condivisione di video ed immagini raccapriccianti avente oggetto le donne coinvolte in qualsiasi tipo di attività sessuale.

Il tutto ovviamente avviene senza neanche richiedere il consenso o meno degli altri presenti, magari con 70, 80 persone, molte volte è vista come una prassi goliardica, un normale passatempo….come un normalissimo meme.

L’introduzione di una nuova norma però non genera in automatico la risoluzione del Revenge Porn, al contrario molto spesso segnala l’incapacità dei consociati a mantenere una condotta decorosa in quel determinato aspetto; dunque ciò che è necessario per contrastare tale fenomeno è un cambio di mentalità, un educazione e sensibilizzazione al problema.

Purtroppo in Italia siamo ancora al palo con il Revenge Porn, ci ritroviamo a cercare di spiegare sui social che la persona protagonista del video del momento non è l’autrice del reato ma la vittima, che gli usi domestici e la ritorsione di un soggetto non può compromettere per sempre la vita sociale (o proprio la vita) di una persona.

Ci ritroviamo a vedere una vittima di Revenge Porn messa alla gogna, derisa, fatta a pezzi ed infine anche licenziata dal proprio lavoro, umiliata in ogni aspetto e privata della dignità umana di cui l’occidente si professa portabandiera.

Se la pratica venisse stigmatizzata e pensata come sbagliata, specie per le ripercussioni che tale attività può creare, se ci si fermasse a pensare un attimo alla provenienza e l’uso del video in questione  e su chi effettivamente sia la vittima e chi il carnefice, avremmo già compiuto il primo grande passo.

Il reato punisce non solo chi avvia questa orribile catena, ma in teoria ogni membro del gruppo che riceve tale video e preme distrattamente invia ad altri 18 gruppi per strappare una risata o approvazione è passibile di persecuzione giudiziaria; oltre a ciò può concorrere nella distruzione di una o più vite, e questo non viene mai in mente prima di premere “inoltra”.

La morte di Tiziana Cantone fù nel 2016, 4 anni fa…purtroppo sembra ieri.

Dott. Andrea Di Pasquale

AntiHater.it

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